Dopo “Cosa fanno le api in inverno?” una domanda che vi potreste fare è: cosa fa l’apicoltore in inverno? Ed eccomi qui a rispondere.
Il lavoro da svolgere in campo in questo periodo è sicuramente ridotto rispetto alle stagioni passate. Ma non meno importante. “Invernare” le api con attenzione è fondamentale: il momento è delicato. Ogni errore può compromettere irrimediabilmente l’equilibrio della famiglia, soprattutto se già è debole.
Cosa vuol dire “invernare” le api? Le portiamo al chiuso, in un magazzino o in un luogo protetto? Assolutamente no! Le api non possono essere forzate. Se fossero al chiuso avrebbero l’istinto ad uscire, ma non è stagione di fiori. Bisogna allora assecondare le loro esigenze senza forzature. Offrire loro una “casa”, l’arnia, le aiuta di sicuro a mantenere la temperatura interna. Ma è fondamentale in questo momento verificare che abbiano sufficienti scorte alimentari.
Si tenga presente che un favo pieno di miele non è solamente un’importante fonte di cibo, ma anche un ottimo isolante termico. Qualora, per cause meteorologiche varie, non fossero sufficientemente rifornite sarà premura dell’apicoltore procurare loro dell’alimento – in questo periodo, se necessario, si somministra il “candito”: una miscela semisolida di acqua e zucchero a velo e non sciroppo per non aumentare l’umidità interna che già tende ad essere elevata in autunno ed in inverno. Probabilmente sarà necessario anche ridurre lo spazio interno all’arnia in modo da non dar loro un superlavoro riscaldando uno spazio superiore alle loro necessità.
L’apicoltore provvede anche ad alcune piccole accortezze, come: ridurre la porticina di ingresso dell’arnia – in modo da evitare che animali si intrufolino in cerca di un luogo calduccio e riparato, e con l’effetto ulteriore di ridurre gli “spifferi”. Oppure: se il fondo dell’arnia è a rete mette una lastra – una specie di cassettino – fra la rete e la base dell’arnia in modo da non far passare troppa aria dal basso. Questa lastra in lamiera sarà utile anche per avere indicazioni delle dimensioni e della forza della famiglia quando le temperature saranno inferiori agli 8-10°C e sarà sconsigliato aprire l’arnia. Le tracce di cera, miele e polline infatti ci danno valide indicazioni su ciò che sta succedendo in famiglia. Inoltre, un toc-toc sull’arnia farà fare un ronzio tale alle api per cui sarà possibile capire se, a grandi linee, va tutto bene.
Tornando sul discorso alimentazione: importante è verificare non solamente la quantità di miele presente nell’arnia, ma anche la sua tipologia. Miele cristallizzato è difficilmente utilizzabile dalle api, in particolare in un momento in cui le temperature sono basse. Il miele cristallizzato in favo può essere una micidiale causa di morte della famiglia per fame. Ad esempio cristallizza con una rapidità micidiale il miele di edera, che le api raccolgono a settembre, con l’intento di rimpinguare le loro provviste per l’inverno: in pochi giorni al posto del nettare dolce e profumato si trovano nelle cellette dell’alveare grossi cristalli bianchi e profumati. E’ qui che l’apicoltore deve capire se e quando alimentare le api o rendere loro un favo di miele non cristallizzato, asportato alla famiglia nel momento delle “vacche grasse”.
Ultima operazione, ma non in ordine cronologico, sarà il trattamento delle api, da effettuarsi quando la regina non deporrà. Tecnicamente si dice che è in blocco naturale di covata. Questo trattamento si effettua due volte l’anno con un prodotto a base di acido ossalico. Attenzione: a tal proposito non si creda che l’apicoltore dà una brutta medicina, una specie di antibiotico. Si sta parlando di un acido organico, consentito anche in agricoltura biologica, che, per capirsi, è paragonabile l’acido citrico del limone. In genere si somministrata, sciolto in uno sciroppo di acqua e zucchero, gocciolandolo nell’arnia con una grossa siringa. Questo trattamento è il più efficace – e per di più è naturale – per la lotta contro la varroa: un acaro che prospera negli alveari a danno delle api. Nutrendosi della loro emolinfa indebolisce talmente tanto le api da renderle ricettive ad ogni altra malattia. Portando così al collasso intere famiglie di api, con rapidità sconcertante.
Fino ad adesso vi ho raccontato cosa fa in campo l’apicoltore, ma il lavoro non finisce in campo. L’inverno infatti è il momento in cui ci si riprepara alla futura stagione di intenso lavoro, in campo.
L’apicoltore accomoda l’attrezzatura usata: pulisce e immagazzina il materiale – arnie, melari, telai da nido e da melario -, ristruttura e rivernicia le arnie, finisce di imbarattolare ed etichettare il miele, realizza prodotti trasformati, prepara il materiale per la futura stagione produttiva, vende. Si, vende soprattutto in inverno. In inverno, infatti, il miele e gli altri prodotti dell’alveare sono particolarmente richiesti, meritatamente, in virtù delle loro proprietà che sono particolarmente utili in questo periodo dell’anno. Miele, propoli, pappa reale, polline aiutano a superare stati di debilitazione, abbassamento delle difese immunitarie, influenza e malanni di stagione. Provare per credere.
ps. tranquilli, non ho bevuto troppo vin brulè… la foto è volutamente al contrario 😉